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VAN GOGH - SULLA SOGLIA DELL'ETERNITA'

Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità è un biopic non convenzionale riguardante uno dei più famosi ed importanti pittori mai esistiti. Proprio per la sua notorietà, il regista omette le informazioni riguardanti l'epoca ed il periodo storico in cui vive Vincent, concentrandosi piuttosto sulla vena artistica dell'olandese e sul suo continuo conflitto interno.

La cosa che colpisce immediatamente lo spettatore è sicuramente l'incredibile somiglianza tra l'attore protagonista, Willem Dafoe, e il pittore: non solo per i capelli e la barba di colore rosso, che lo rendono davvero molto simile a quel celebre autoritratto, ma soprattutto per quella luce negli occhi, quel turbamento del corpo e dello spirito che ha saputo interpretare in modo perfetto.

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"Volevo essere solo uno di loro": l'incipit del lungometraggio esprime fin da subito che la storia che verrà raccontata sarà un cammino tortuoso, ricco di dolore, sofferenza e disperazione. L'artista, infatti, non è stato mai compreso da suoi contemporanei e, nel corso della sua vita, non è riuscito a vendere neppure una tela. Solo post mortem acquisirà prestigio e i suoi quadri verranno considerati opere d'arte di elevato valore.

Nonostante i dialoghi brevi, fatti di poche parole e di frasi nette, il regista riesce a mettere in scena in maniera efficace il rapporto viscerale con il fratello Theo e quello controverso con Gauguin. In particolare Theo è l'unica persona che non abbandona mai Vincent, nonostante i tanti impegni lavorativi. L'attaccamento morboso a Gauguin, invece, porterà il pittore ad uno dei suoi gesti più estremi: Vincent, infatti, si taglierà un orecchio, un modo disperato per chiedere al suo amico di non andarsene.

Bellissimo è lo stratagemma che il regista utilizza per esprimere il rapporto fra Van Gogh e la natura. Durante le lunghe passeggiate alla ricerca dell'ispirazione e dei soggetti giusti, il pittore diventa un tutt'uno con la natura: si sdraia, si sporca la faccia e le mani con la terra, si perde guardando l'infinità del cielo. Le inquadrature sono ampie, le scene piene di luce. Comprendiamo a pieno che Van Gogh ama la natura e che per lui la natura è bellezza.

La sensazione di pace che l'artista prova quando è a contatto con la natura è in netta contrapposizione al suo tormento interiore e ai suoi problemi psichici, provocati ed accentuati dalla crudeltà delle persone che incontra e dall'essere rifiutato e incompreso da tutti.

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Vincent esprime la sua idea di bellezza dipingendo la natura. Realizza una grande quantità di quadri in poco tempo, quasi in maniera nevrotica. I tratti netti e le pennellate spesse e frenetiche sono la conseguenza dei demoni che l'artista si porta dietro.

Lo spettatore viene investito con violenza sia dalla brutalità del reale che dal miracolo della bellezza della natura. Il regista sceglie l’uso massiccio della camera a mano, deforma inquadrature e prospettiva con ogni mezzo, lecito e illecito: perde il fuoco, abusa del grandangolo e della sovraesposizione.

Il film, nonostante la pesantezza dovuta a scene scollegate e dialoghi scarni, è un'esperienza sensoriale totalizzante: è come se lo spettatore si trovasse davanti ad un dipinto mozzafiato ed estasiante. 

Alla fine del film ci rendiamo conto che la condanna di Van Gogh è stata quella di parlare una lingua sconosciuta ai suoi contemporanei, ma negli anni seguenti l'artista ha avuto la sua rivincita. Chissà se aveva immaginato che sarebbe finito sulle pagine di qualsiasi libro di storia dell'arte.

Per concludere, consiglio questo film a chiunque sia appassionato non solo della storia dell'arte, ma di qualsiasi forma d'arte. VOTO 6,5.

“Penso solo al mio rapporto con l’eternità. Il mio dono al mondo è la mia pittura”

Vincent Van Gogh

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